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Mozart di la’ dalla tradizione

Di Ilaria Daolio.

Voglio riproporre la medesima formula, a distanza di un anno dal mio ultimo articolo sul Concerto “W. A. Mozart. Gli anni e le opere della maturità”, per definire un lavoro, che, dal 1997 in poi, è riuscito non solo a sopravvivere a se stesso, ma a mantenere inalterata la sua carica eversiva, sotto le rassicuranti apparenze di innocuo concerto operistico, tra vicende alterne e lunghe sospensioni, essenzialmente dovute a divergenze di vedute tra gli interpreti e alle difficoltà di piena realizzazione artistica, che ogni percorso alternativo e radicalmente innovativo incontra inevitabilmente. Il Concerto di cui si scrive si è tenuto a Castions di Strada, Udine, presso la Chiesa di S. Maria delle Grazie, il 27 maggio scorso. Interpreti, Luca Casagrande, baritono, Loretta Liberato, mezzosoprano e Davide Furlanetto al pianoforte.

Per riassumere, si tratta di un concerto incentrato sulle opere teatrali degli ultimi anni della vita di W. A. Mozart, tra il 1786 e il 1791, anno della morte del compositore. Anni di grande travaglio per il salisburghese, senza più la protezione della Corte degli Asburgo di Wien, ma anni in cui prendono corpo capolavori assoluti, universali, vivi oggi più che mai. E personaggi vividi, incredibilmente attuali. Ma ricoperti dalla polvere della cattiva tradizione, perlomeno in Italia. Ecco, il Concerto in questione è nato proprio per riportare alla luce la “buona” tradizione (un anno fa scrissi di operazione di “riassestamento evolutivo”) mozartiana, quella intuita, e a volte realizzata, da Leinsdorf, da Boehm, da Solti o quella, più recente, riproposta ad Aix-en-Provence nell’estate del 1998, con un “Don Giovanni” straordinario, o il modernissimo “Così fan tutte” con l’incompleta, purtroppo, regia di Strehler al Nuovo Piccolo Teatro, a Milano: suono asciutto e leggero, voci rigorosamente contenute, totalmente diverse da quelle che un ascoltatore per abitudine, si aspetterebbe. D’altro canto, libertà di cadenze e diminuizioni  belcantistiche, quando possibile (e in Mozart questo è possibile molto più spesso di quanto molti “grandi” del Novecento ci abbiano dato a bere). E, sopra ogni altra cosa, i personaggi in netta evidenza. In definitiva, basta con il Mozart cantato e suonato in punta di piedi, ma basta anche con quello degli urlatori, secondo la nefanda massima del “basta cantare” o del “ci vuole la voce”. Tutt’altro: per Mozart, sempre, ci vuole cervello, prima che voce, e senso della misura. E la conoscenza completa della prassi belcantistica, ancora applicabile alle opere del compositore austriaco, che vive in età classica, ma che opera una sintesi della musica pre-classica ed aggiunge novità, che tali rimangono, anche per noi, a distanza di più di duecento anni. E un senso del teatro del tutto a sé rispetto a quello richiesto da altri compositori, a Mozart coevi. Insomma per Mozart non serve “la voce” (ci riferiamo, ovviamente, ai cantanti). Anzi, non basta. Chiarito una volta per tutte questo punto, Casagrande e Liberato hanno mostrato, anche nella ripresa di questo Concerto, di avere le idee molto precise in proposito. Si tratta di due interpreti, decisamente fuori dal comune, in senso positivo, e molto diversi tra loro, addirittura opposti quanto a sensibilità estetica. Ma è proprio l’accostamento e la fusione di queste diversità a sortire effetti esplosivi. Cantanti entrambi di acuta intelligenza musicale, riescono ad interpretare Mozart in maniera tale, che l’ascoltatore ha la netta impressione di sentire brani, anche celeberrimi, per la prima volta. Mai una volta durante questo Concerto i due, che cantino insieme o si cimentino nelle grandi arie soliste di Figaro, del Conte d’ Almaviva, di Papageno, Dorabella, Zerlina o Cherubino, attingono alla tradizione novecentesca. Compiono, invece, un balzo indietro di duecento anni, che si traduce, in pratica, in un balzo in avanti di secoli. Ora, cosa manca a questo concerto, per diventare un vero “grande” Concerto? Ancora un po’ di scavo sui personaggi, qualche aria o scena nuove, e più adatte, magari alle singole vocalità dei due, un dosaggio dei suoni e dei volumi ancora più attento (Casagrande, peraltro, sfrutta al massimo i piani, i pianissimi e le smorzature previste in partitura, sacrificando senza indecisioni il cosiddetto “bel suono” alle esigenze dinamiche della pagina e a quelle drammatiche della parte) e la collaborazione attiva di un Maestro al pianoforte, che non tema di osare. Davide Furlanetto è un giovanissimo pianista, studente di composizione e altro, molto serio, molto impegnato e concentrato e indubbiamente non suona in maniera ordinaria. Potrebbe essere lui. Se suonare Mozart lo stimolasse. Se lo stimolasse “questo” Mozart.

Il Concerto di Castions ha avuto un notevole successo, il che dimostra per l’ennesima volta che le novità non spaventano affatto il pubblico, quando le si sa proporre. Sottolineiamo anche il dato di un’organizzazione ineccepibile, che ha messo i tre interpreti a loro agio, e quello di un’accoglienza, che difficilmente si riscontra.

Ilaria Daolio
Docente di Letteratura e Storia del Teatro Musicale
Istituto Monteceneri
Milano.

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