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Luca Casagrande si cimenta in indedite, virtuosistiche cantate di Benedetto Marcello

di Ilaria Daolio

Le cantate di Benedetto Marcello si situano storicamente nel delicato momento di passaggio dalle meraviglie del barocco al buon gusto arcadico. In altre parole, siamo ancora in piena poetica della meraviglia, ma il linguaggio musicale, letterario e poetico non è più concretamente barocco, è meno immaginifico e concettoso, e semplificato. Benedetto Marcello fu tra coloro che teorizzavano, appunto, l’eliminazione degli abusi, non solo musicali, di cui vivevano ormai la musica vocale, soprattutto il melodramma. Perciò, pur non dedicandosi sostanzialmente al teatro, fu in costante relazione con un modello ideale di melodramma: il metastasiano sogno in presenza della ragione (citiamo, a questo proposito, il testo satirico di Marcello Il teatro alla moda).
Le cantate di Marcello, anche queste per voce grave maschile, registrate per Centaurus dal baritono trentino Luca Casagrande, da Filippo Emanuele Ravizza al clavicembalo e alla direzione, e Claudio Frigerio al violoncello, sono caratterizzate da un utilizzo spericolato del virtuosismo vocale, e nel senso più ampio del termine – cioè come capacità dell’interprete di meravigliare compiendo imprese vocali non comuni, sia che si tratti di canto spianato, sia vocalizzato -, e nel suo senso più stretto di virtuosismo tecnico. La voce viene utilizzata, inoltre, sempre in senso strumentale. La profondità e complessità armonica delle cantate di Marcello costringono il cantante alla massima intensità espressiva, mentre i vertiginosi passi d’agilità in tempo veloce, richiedono scioltezza, pulizia ed eleganza. Il tutto è reso difficoltoso dalla necessità di far arrivare nitidamente scanditi i versi del testo poetico. In questa registrazione il virtuosismo hard core è accentuato dalla direzione “in avanti”, dinamica e scattante di Filippo Emanuele Ravizza. Luca Casagrande non è nuovo a questo genere d’interpretazioni, che ha affrontato in teatro, soprattutto nei numerosi ruoli händeliani della sua carriera, e in concerto. Casagrande, uno dei pochi veri baritoni dei nostri tempi in grado di sconfinare con successo nei registri di basso e di tenore baritonale, per via di una non comune estensione (dal Fa diesis 1 al Si 3), con voce fluida, setosa, cangiante, dalle screziature iridescenti, ferma, sicura e piena, affronta qui le insistenti agilità “di bravura” con piglio energico ed autorevole. Tocca le note gravi con classe. Il registro centrale della sua voce suona fortemente immascherato, ha le risonanze ed i colori di un antico strumento ad ancia, ora carezzevoli e lievi, ora dense e coperte, ora taglienti ed incisive. Gli acuti sono precisi ed intonati, vere lame d’acciaio. Anche le agilità “di grazia”, da risolvere con improbi legati “a fior di labbro” risultano praticamente inappuntabili. Notevole la tenuta del fiato, ammirevoli il “rubato”, e ciò che una grande artista del passato definiva “atteggiamento lento all’interno di un tempo veloce”. La dizione è, come sempre, chiarissima, e i recitativi, che danno solitamente la misura delle capacità espressive di un cantante e, in definitiva, della sua arte, danno anche la misura dell’arte di Casagrande: da un cantante non si potrebbero pretendere maggiori comprensione e comprensibilità e intelligenza della parola detta. Nelle arie l’artista coniuga canto espanso e precisione nella vocalizzazione, riuscendo, grazie ad uno studio accanito, a smentire il luogo comune per cui le voci maschili, e gravi, siano refrattarie alle costrizioni formali del belcanto, e a dimostrare, alla fin fine, che il vero virtuosismo, sia che investa il canto spianato, sia quello d’agilità, non è mai meccanico e inespressivo. L’arte di Casagrande arriva, con questo lavoro, una volta di più forte e diretta: ci pare lecito affermare che, allo stato attuale, è assai riduttivo pensare a Casagrande come ad un semplice cantante. Ormai Casagrande con la voce, in virtù di un magistero tecnico e interpretativo che gli permette una capacità coloristica d’eccezione, dipinge dei quadri.
La prassi filologica, in questo CD, è, al solito, rispettata scrupolosamente, ma senza scolastiche pedanterie. Ormai la disinvolta capacità di variare e improvvisare con gusto e misura di Casagrande è un dato acquisito.
La cantata che dà il titolo al CD, Udite Amanti, è, secondo noi, la meglio riuscita, per gli scultorei recitativi e per lo scuro colore vocale delle malinconiche, tormentate arie, per la fluidità dei passi vocalizzati e per i tempi adottati. A questo proposito, Filippo Emanuele Ravizza, sia come direttore, sia come clavicembalista, in tutto il CD riesce ad offrire ed ottenere interpretazioni di puro smalto, e dà prova di grande sapienza ed eleganza. È senza dubbio uno dei migliori musicisti con cui Casagrande abbia fin qui collaborato. Probabilmente il migliore. Claudio Frigerio al violoncello, gli sta alla pari per scioltezza, musicalità e professionalità sicura.
Molto ben riuscita anche Poiché fato inumano, dai recitativi declamati in tono tragico, in contrasto con lo stretto ritmo puntato e i vocalizzi a mezza voce della prima aria Luci belle per forza d’amore e il carattere impetuoso e travolgente della seconda, Come scoglio che l’onda disprezza, caratterizzata da cascate di vorticose scale discendenti.
Questo CD rappresenta, per Luca Casagrande, il ritorno alla discografia dopo una pausa di due anni, la completa liberazione dagli impacci creatisigli in occasione degli ultimi impegnativi lavori discografici (impacci, a nostro parere molto ben rappresentati da una serie di collaboratori inadeguati, ed altrettanto inadeguati tecnici del suono) un ulteriore, notevole passo in avanti, verso il compimento di una maturità artistica evidente peraltro già da qualche tempo.
Essenziale ed elegantissima la grafica del CD realizzata da Reinaldo Ferro, giovane ed emergente fotografo e designer italo-brasiliano. Intelligente, moderna scelta di forme e colori, e una magnifica veduta di Piazza S. Marco del Canaletto.
Notevole il libretto, in cui si citano abbondantemente gli approfonditi saggi su Benedetto Marcello di Mangini e Arduini.

Ilaria Daolio

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