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Le affascinanti Mélodies di Berlioz e Debussy per il nuovo Récital su CD di Luca Casagrande

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TrentinoMese. International press.

LE AFFASCINANTI MÉLODIES DI BERLIOZ E DEBUSSY PER IL NUOVO RÉCITAL SU CD DI LUCA CASAGRANDE.

Di Ilaria Daolio.

Milano – Con la pubblicazione del nuovo lavoro discografico, dedicato a Les Nuits d’Été di Hector Berlioz (1803-1869), alle Ariettes oubliées e alle Trois chansons de Bilitis di Claude Debussy (1862-1918), il talento di Luca Casagrande riemerge in maniera perentoria.
L’ultimo CD interpretato da Casagrande è stato registrato, parzialmente dal vivo, tra gli Studi della Nord Sound di Trento e il Teatro dell’Opera di Düsseldorf, nell’ottobre 1999 e pubblicato nel 2000, al pianoforte Jessica Nardon. Un lavoro andato esaurito in soli sei mesi.

Dopo questo CD, Casagrande si è cimentato, esclusivamente come Produttore, nelle registrazioni, entrambe pubblicate nel 2001, di un doppio CD dedicato alla prima registrazione assoluta e integrale delle Sei Sonate da Camera à tre, Due violini, Alto e Basso, di Agostino Steffani (1654-1728), interpretate dal Quartetto Erasmus, di Milano, e, ancora, alla prima registrazione assoluta di bellissime Cantate a voce sola di soprano e continuo di Alessandro Scarlatti (1660-1725), nell’interpretazione del Trio Alessandro Scarlatti, con la bellissima voce del giovane soprano Maria Carla Curìa. Una parentesi discografica, come interprete, piuttosto lunga, ma proficua, visto l’interesse che le produzioni di Casagrande hanno destato intorno a sé.

Nel nuovo lavoro – la cui pubblicazione è stata preceduta da una lunga tournée italo-franco-spagnola, ritroviamo un Casagrande nuovo, che già il lavoro su Donizetti anticipava, ma che qui ci si palesa nella sua maturità d’autentico interprete di levatura internazionale. Schivo, e oltre i meschini giochi d’agenzia, Casagrande procede sicuro, in mani serie e coscienziose. Lo troviamo, infatti, ovunque regni una politica culturale seria, in Italia e all’estero. Soprattutto, anzi, all’estero. Senza correre il rischio d’inflazionare la propria immagine o di sfruttare i propri mezzi oltre le loro possibilità, come si usa oggi.

E’ senz’altro riduttivo pensare a Casagrande come ad un semplice baritono, anche se egli, per necessità di riconoscibilità e per non creare confusioni pericolose, offrendo al pubblico un ventaglio di possibili immagini di sé, si presenta anzitutto come voce. E, in effetti, i suoi studi parlano chiaro: sette anni di canto e pianoforte – e, durante questi anni, il diploma – con il soprano Lucia Ciliberti, a Milano. Il debutto, subito dopo, nel Messiah di Händel, ancora a Milano. Due anni a Bologna, allievo del (recentemente scomparso. N d. A.) tenore Paride Venturi. Infine, il cosiddetto perfezionamento con il più importante e colto Maestro milanese: Alberto Soresina, violinista, pianista e compositore, insegnante di voci storiche e testimone di settant’anni e più di musica milanese, italiana e internazionale. Anni d’intensi studi, durante i quali Casagrande ha finalmente debuttato in teatro, in uno splendido allestimento di Mass di L. Bernstein, al Teatro Smeraldo, con la direzione del giovane Maestro Giuseppe Grazioli. Di lì in avanti, lo studio continuo, determinato, come autodidatta. E poi, i concorsi internazionali di canto; gli stages al Teatro alla Scala, alla Hochschüle für Musik di Franfurt am Main, a Berlin; le ricerche musicologiche al Civico Museo Bibliografico Musicale di Bologna, a Milano, Roma, Napoli, Londra e Parigi, con un grande interesse: il teatro barocco e classico. Il teatro è nei geni di questo, che potremmo, forse ancora riduttivamente, definire attore-cantante, dal momento in cui, impadronitosi della tecnica vocale (scuola Garcìa), egli ha sempre usata la voce in chiave drammatica, con uno spiccato senso dell’atmosfera teatrale, dell’effetto mai volgare, del significato più profondo del testo e del gesto.

E questo carattere, che ha indotto molti a guardare a Casagrande come ad un animale da palcoscenico di razza aristocratica (quella degli Schlusnus o dei Huesch), è avvertibile anche nei concerti da camera e nei dischi, che restituiscono sempre un’atmosfera teatrale. Avvertibile e riconoscibile anche per chi ignori che Casagrande ha affrontato, in diec’anni di carriera, più d’una trentina di ruoli di protagonista (o co-protagonista), quasi esclusivamente in teatri stranieri: da Orfeo di Monteverdi (’93-’94) a Macbeth di Verdi (2001-2002), passando attraverso Alessandro Scarlatti, Agostino Steffani, Georg Friedrich Händel, e poi tutto Mozart, molto Donizetti e quasi tutto Bellini. Voce baritonale ben timbrata, chiara, agile ed estesa per più di due ottave, sulla linea dei tenori baritonali d’epoca barocca e classica, o dei baritoni romantici, capacissima di essere bella in sé, per quel che vale, ma bella essenzialmente in quanto espressiva. Da questo dato di fatto non si può prescindere, se si vuole valutare correttamente l’arte di Casagrande, che non esita mai a sacrificare l’uguaglianza e l’omogeneità del suono, ogniqualvolta lo ritenga necessario, s’intende, all’espressività, ottenuta con il continuo alternarsi di colori vocali, con la dinamica sfumata, con la ricerca dell’intensità del canto, sia esso patetico, tragico, eroico.

Il récital dedicato ai cycles Les Nuits d’été di Berlioz, Ariettes oubliées e Trois chansons de Bilitis di Debussy è un lavoro affrontato con un’attenzione che ha del parossistico e perfezionistica puntigliosità: ogni nota è soppesata con pignoleria, appunto, niente passa inosservato, ogni più piccola frase è importante, qui, pur nulla essendo sottolineato, al contrario. La musica passa attraverso il vaglio d’una severa critica, per riuscire, infine, a respirare, a creare il senso della vera interpretazione, d’una libertà interpretativa unica. Ecco, in questo lavoro si cerca l’unicità, in un’epoca di copie e simulacri. I tempi musicali adottati sono più ampli dell’usuale, riuscendo a conferire all’interpretazione un senso di decadente estenuazione.

Abituati a sentire Les Nuits d’été da voci femminili, a stento ricordiamo l’eco della bellissima voce di Josè van Dam, che ha interpretato le liriche di Gautier musicate da Berlioz, per l’appunto, anzitutto con la voce. Luca Casagrande, al contrario, punta sull’accento, sulla varietà delle nuances, e sulla dizione per rendere incisiva la sua interpretazione, più come uno chanteur d’alta classe, che come un baritono. Anzi, riesce ad evitare la sensazione che questa manciata di delicate poesie parnassiane, che nella mente e nella musica di Berlioz hanno il difficile compito di osare il sublime – forse per la prima volta nella storia della musica francese, perlomeno nell’ambito dell’ampio panorama della mélodie – siano funestate da una pesante voce baritonale. Dunque, una gran levità di canto, che s’accompagna ad una pronuncia francese, che i francesi stessi, con espressione d’enfatico trasporto, hanno giudicato “bella da morire”.

Questo è fondamentale in un repertorio che non prescinde mai dal testo poetico e dal suo significato, anzi che da questi trae origine. Debussy, se possibile, è ancora più adatto alle corde di Casagrande, che restituisce, esaltata, “tutta la deliquescenza” delle complaintes su versi di Verlaine e di Louÿs, infondendovi tuttavia un’energia, che corre sotterranea, che richiama le migliori interpretazioni di Schlusnus e Huesch, o anche del meno perfetto François Le Roux, e una sensualità quasi morbosa, di molto superiore a quelle, benché i mezzi vocali di Casagrande siano di natura tanto differente, da rendere impossibile un confronto, e di carattere tanto personale e complesso da far risultare difficile darne una definizione categorica o solo convenzionale.

La versione de Les Nuits d’été presentata in questo CD è quella originale per voce e pianoforte, pubblicata dall’Editore A. Catelin, Paris, nel 1841, che è rarissimo poter sentire in disco, in quanto soppiantata dalla versione per diverse voci ed “avec un petit orchestre”, del 1856. Le sei Ariettes oubliées e le Trois chansons de Bilitis sono fondamentali in Debussy, poiché segnano l’inizio e l’acme del rapporto del compositore con la mélodie e la sua preoccupazione per la voce.
Molto denso il libretto del CD, con citazioni da Leopardi, Benn e Proust, ma anche da Debussy stesso, e da studiosi della sua arte come Bachelard e Boulez. Molto moderna la veste grafica del CD: la scelta, per la copertina, di una visione notturna de Le lac d’Annecy, di Cézanne (1890) non solo rende l’atmosfera liquida ed ombrosa del lavoro discografico, ma è particolarmente centrata, considerando che Cézanne, accanto a Debussy e Mallarmé, è, come afferma giustamente Boulez “alla radice di ogni modernità”.

Ilaria Prof. Daolio
Letteratura e Storia del Teatro
e Direzione
Istituto Monteceneri
Milano.

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