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Il melodramma barocco. La poetica della meraviglia.

International press.

Modena, 29 novembre 2000 – Ad operazioni del genere de “Il melodramma barocco. La poetica della meraviglia” in Italia non si è davvero abituati. Oserei affermare, conoscendo l’attuale realtà musicale della penisola, che il melodramma barocco, in Italia, sia un arcipelago del tutto, o quasi del tutto, sconosciuto, di cui spesso si favoleggia, ma del quale non si scorgono, o ci si illude di scorgere, che le vaghe, lontane sagome, fantasmatiche, delle poche terre emerse. Una sorta di mitica Atlantide. A questa specie di continente semi-sommerso qualcuno, musicista o studioso, sembra ogni tanto approdare, tra mille incertezze, mille dubbi e mille perplessità, accompagnati da un buon numero di elucubrazioni più o meno fantasiose sulle varie “prassi esecutive” (giustificate da questo o da quel trattato “antico”, ovviamente…), mentre, accostando i due “secoli d’oro del melodramma” si dovrebbe pensare allo stile, al buongusto e a come rendere attuale, interessante e degna di essere recuperata un’estetica lontana solo tre secoli dalla nostra, ma la cui percezione è stata, e continua ad essere, gravemente inficiata dall’idealismo e dalle sue propaggini novecentesche. Questo è il grosso ostacolo che ci aliena il barocco. In definitiva, potremmo affermare ragionevolmente, che l’Italia, culla del melodramma, in particolare di quello sei-settecentesco, ignori semplicemente di esserlo e ne sia beatamente soddisfatta. Del resto, nei Paesi anglosassoni sono altrettanto beatamente soddisfatti, a torto o a ragione, delle proprie “scuole di pensiero” sul teatro d’opera italiano, di qualsiasi epoca esso sia..

“Il melodramma barocco. La poetica della meraviglia” è, secondo il nostro parere, uno dei tentativi meno cervellotici, più riusciti e consapevoli di ricreare, anche se, forzatamente, solo in parte, l’idea dell’opera del tardo Seicento e di quella del primo ventennio del Settecento. Il fatto che si tratti di un progetto concepito da un ristretto gruppo di giovani artisti italiani (Luca Casagrande, Maria Carla Curìa, Loretta Liberato, più il determinante apporto, in qualità di “voce recitante” di un attore-regista-autore di grande talento, Davide Bulgarelli), nato e sviluppatosi in Italia, senza alcun sostegno istituzionale, è segno di grande coraggio. Intendiamo dire che, qui, gli ideatori non sono il solito preparatissimo, famoso musicologo, o direttore, o chi altri, appoggiati da questa o quella fondazione, ecc. Qui si tratta di puro sforzo personale, di materia grigia in azione.

Una prova intelligentissima e coscienziosa, insomma, per cercare di far rivivere modi, tempi, melodie, armonie e ritmi, che risultano agli orecchi di gran parte del pubblico dei nostri giorni inevitabilmente inusuali; una vocalità e una tecnica delle quali si stanno vieppiù perdendo le tracce; personaggi appartenenti ad un mondo fiabesco, che si esprimono in termini aulici, iperbolici, e in un linguaggio musicale estremamente fiorito, ma quanto straordinariamente efficaci, dal punto di vista dell’arte retorica e dell’espressione dei profondi, tormentati, difficili e inquietanti sentimenti, che albergano, da sempre, nei più remoti recessi dell’animo umano.

Solo conoscendo il melodramma d’epoca barocca si riesce a dare un senso a quanto è accaduto successivamente nel teatro d’opera. Se ne ricordino quanti sono convinti che il teatro d’opera, in Italia, nasca e si esaurisca con Verdi e i suoi epigoni.

Non tragga in inganno la rinuncia all’orchestra, nel caso di questo concerto: le cronache sui “fogli” dei secoli XVII e XVIII sono piene di resoconti e “recensioni” di concerti operistici, che avevano come protagonisti i più grandi divi dell’epoca accompagnati al solo cembalo dagli autori delle opere stesse.

Molto audace la scelta di due soli autori, Alessandro Scarlatti (1660-1725) e Agostino Steffani (1654-1728), le cui opere non sono conosciute e rappresentate tanto frequentemente, come quelle, ad esempio, dell’onnipresente Händel. Altrettanto “belcanto hard core” la scelta delle opere: da “Gli equivoci nel sembiante” (1679) a “Marco Aurelio” (1681), “Alarico” (1687), “Niobe” (1688), “Mitridate Eupatore” (1707), “Il trionfo dell’onore” (1718), “Griselda” (1721).

La giovanissima Maria Carla Curìa, che già si era distinta nella prima edizione di questo concerto, nell’aprile di quest’anno, soprattutto come dolente Cleopatra händeliana, ha portato quasi a piena compiutezza il difficilissimo personaggio di Niobe, ed è riuscita a dare vita a una palpitante Griselda e a una Laodice lacerata, in preda a sentimenti profondamente contrastanti d’odio e amore. Curìa è un soprano di sicuro avvenire, tra l’altro dotata di una splendida voce di madreperla e di una tecnica di tutto rispetto.

Loretta Liberato è un mezzosoprano di grande “charme”, di voce rotonda, lieve, morbida, vibrante ed emotiva. Il punto di forza della sua vocalità è l’agilità, ma qui ha mostrato di possedere ben altre doti vocali e interpretative: ad esempio la capacità di esprimere la tenerezza e il patetismo della pastorella Clori, il furore di Stratonica, il desiderio di vendetta di Semiamira, Regina dei Traci, o l’insinuante dolcezza di sirena dell’Imperatrice Faustina.

Il baritono Luca Casagrande è un autentico sperimentatore: in questa seconda edizione de“Il melodramma barocco” ha scelto d’interpretare la tragicità aulica di un pensoso Imperatore Marc’Aurelio, le grandi dignità e nobiltà d’animo di Eupatore, i fuochi d’artificio vocali della quasi impossibile aria “Agitata da fiera procella”, cantata da Corrado Principe di Puglia, e la seduttività di Riccardo ne “Il trionfo dell’onore” (tutte e quattro arie per baritono o per tenore baritonale, tra l’altro, centrando l’obiettivo di ricreare la vocalità del tenore baritonale tipico del teatro barocco). Il tutto interpretato con una varietà di tinte, timbri e colori, una tenuta di fiato, un’agilità, soprattutto “di sbalzo”, una tecnica, insomma – che include la capacità di eseguire impeccabili “messe di voce” – da lasciare il pubblico con il fiato sospeso. La voce è decisamente importante ed è encomiabile che il baritono non ne approfitti per vociare, come la maggioranza dei suoi colleghi, ma canti morbidamente e, al tempo stesso con chiarezza ed incisività.

Ottima la recitazione di tutti e tre gl’interpreti.

Performance di alto livello, dunque, premiata da un pubblico numeroso e attentissimo.

Modena, 29 novembre 2000

Ilaria Daolio

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